Un detenuto tossicodipendente, come ogni altro malato limitato nella propria libertà, sconta una doppia pena. Quella imposta dalle sbarre del carcere e quella di dover affrontare la dipendenza dalle droghe in una
condizione di disagio. Senza cure adeguate e senza il sostegno della famiglia o di una persona amica. Come è successo ieri nel carcere delle Sughere di Livorno dove un ragazzo di 31 anni, rinchiuso per reati legati alle sostanze stupefacenti, si è ucciso cercando di sniffare gas da un fornelletto da campeggio chiuso in una busta di plastica. Un caso di suicidio? Piuttosto sembra un altro tragico incidente conseguenza di una pratica molto diffusa nelle prigioni. Lo sballo cercato inalando un gas qualunque è infatti spesso l’ultima spiaggia per i detenuti in crisi di astinenza oppure un modo come un altro per dimenticare la disperazione. E purtroppo non è raro che si arrivi all’asfissia. È capitato a settembre a Nuoro, a luglio a Genova e a Rebibbia, a settembre dello scorso anno a Modena: sono solo alcuni casi. “Il fenomeno delle tossicodipendenze in carcere è rilevante”, sottolinea Massimo Marchino, responsabile del Sert di Orvieto e consigliere della Società italiana di medicina e sanità penitenziaria onlus. “A livello nazionale circa un terzo dei detenuti (che in totale sono oltre 56 mila, ndr) fa o ha fatto uso di droghe”. Dove il termine “droghe” comprende l’abuso di sostanze stupefacenti diverse e combinate tra loro e, non certo ultimo, di alcol. “Dal 2003 spetta alle Asl, tramite i Sert, occuparsi dei carcerati affetti da dipendenze. Gli operatori hanno il compito di monitorare il fenomeno, di fornire le cure farmacologiche e di gestire l’inserimento nelle comunità di recupero una volta fuori dalla prigione”.
La pena alternativa al carcere è un buon inizio per curare un detenuto tossicodipendente. Ma nel caso in cui la prigione sia un obbligo, occorre affrontare il problema dietro le sbarre. “I farmaci sostitutivi per superare l’astinenza”, continua Marchino, “sono una terapia molto utile.
Ma quando questo non è possibile, ad esempio nella dipendenza da cocaina, diventano fondamentali il sostegno psicologico e il ruolo dell’assistente sociale. In particolare stiamo cercando di trasferire in carcere l’esperienza, già proficua all’esterno, dei gruppi di auto aiuto”.