È allarme sanità nelle carceri italiane, secondo un rapporto della Società
Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria (Simspe). I dati sono
estremamente preoccupanti: più della metà della popolazione carceraria
presa in esame è affetta da svariate patologie. La denuncia giunge mentre
la Finanziaria 2008 sancisce il trasferimento al ministero della Salute
del personale e funzioni sanitarie del Dipartimento dell’amministrazione
Penitenziaria (per il 2008 spesa complessiva di 157,8 milioni).
Il 62% dei detenuti di un totale di 1300 persone in 25 strutture
carcerarie, del campione dall’indagine Gfk-Eurisko, necessita dunque di
una terapia medica. Il problema non è solo confinato al carcere ma un
pericolo anche per la salute pubblica se si considera che per il 28%
queste malattie sono infettive e nella maggior parte dei casi si tratta di
epatite C, coinvolgendo circa un quarto del campione. Una situazione che
potrebbe scatenare una vera e propria epidemia, non solo nella popolazione
carceraria, ma anche all’esterno, una volta che gli ex detenuti rientrano
in società.
“L’epatite C dilaga ma non sempre i detenuti ricevono le cure adeguate”,
spiega Giulio Starnini, Direttore del Reparto di Medicina
Protetta-Malattie Infettive dell’Ospedale Belcolle di Viterbo, “solo la
metà di essi viene messo subito in terapia e, fra questi, un quarto dei
pazienti non l’accetta. Un terzo dei pazienti in trattamento, poi,
sospende la cura prima del previsto. Questo significa che su cento
detenuti con epatite C sono 74 quelli che non seguono alcuna terapia o la
interrompono prima”. Ma perché l’epatite C è divenuta la “malattia del
carcere”?
Ci sono alcune abitudini,legate alla tradizione della vita carceraria, che
sono alla base di questa epidemia:la diffusa pratica del tatuaggio con
ogni mezzo (aghi rimediati iniettandosi sotto pelle l’inchiostro delle
penne a sfera) oltre, naturalmente,al sovraffollamento che costringe a
stare in soprannumero in ogni cella, o, infine, stili di vita non sani,
prima di entrare in carcere, come la tossicodipendenza.
“L’epidemia si diffonde perché il detenuto rifiuta le cure in carcere in
quanto spera di usufruire così della legge per il suo trasferimento in
ospedale/comunità o, nei casi gravi, essere rimesso in libertà”, spiega
Roberto Monarca presidente della Simspe.
Per affrontare seriamente questa situazione che rischia di esplodere la
Simspe suggerisce, nel Documento di Indirizzo 2007-08, di riconvertire e
potenziare i “centri clinici” presenti nelle varie strutture penitenziarie
e riattivare lo staff sanitario presso la Direzione Generale dei Detenuti
e del Trattamento.
Un organismo, quest’ultimo, dell’Amministrazione penitenziaria, che ha
avuto finora solo compiti burocratici e di coordinamento(spostamento dei
detenuti, ecc.) ma che dovrebbe divenire anche un centro di specifiche
competenze per affrontare l’emergenza sanità delle carceri. In una parola,
più mezzi e strutture per un azione incisiva sull’epidemia epatite C. Ma
c’è anche un’altra patologia ad alta diffusione nelle carceri: la
psoriasi, una malattia cronica della pelle che si manifesta con macchie
rossastre.
Colpisce ben il 5%, in media, dei detenuti contro il dato della
popolazione italiana che è del 3%. Questo secondo un indagine
dell’Osservatorio nazionale “Psocare” un programma di ricerca sulla
psoriasi promosso da Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco). Un centro pilota
“Psocare” è stato cosi istituito di recente nel nuovo complesso di
Rebibbia. di Roma (fornisce cure all’avanguardia per detenuti con
psoriasi). E poi ancora un ampia diffusione di depressione e disturbi
psicologici (nel 27% del campione) ma anche problemi cardiovascolari
(9,7%), o osteoarticolari (10,1%).
di Susanna Jacona Salafia