4 gennaio 2013 – Un bambino di tre anni che all’improvviso si sente male. Un dolore insopportabile al basso ventre, il piccolo che si accascia a terra e vomita. Le mani nei capelli e gli occhi sbarrati del padre. Lui, detenuto a Rebibbia, passa all’improvviso dalla felicità per la visita in carcere della moglie e del figlio alla più cupa disperazione.
Gli agenti della polizia penitenziaria avvisano subito i medici della struttura carceraria. Ma passa il tempo e nessun camice bianco si presenta. Il bambino sta sempre peggio mentre volano i minuti. E allora la decisione della madre: solleva il figlio da terra e si dirige verso l’uscita della casa circondariale alla ricerca di un taxi.
Poi la corsa folle verso l’ospedale San Camillo Forlanini dove il piccolo verrà “sottoposto d’urgenza ad una appendicectomia”. Omissione di soccorso: per questo reato due medici del carcere di Rebibbia sono stati condannati a sei mesi reclusione (pena sospesa) e all’interdizione dai pubblici uffici per lo stesso periodo di tempo. Si tratta di Francesco Maria Cefalà e Guido Calzia, rispettivamente dirigente sanitario e medico di guardia della casa circondariale di Rebibbia. Era il marzo del 2010 quando si verificò l’episodio nel carcere romano. Calzia e Cefalà, si legge nelle carte, si “rifiutavano di intervenire presso la sala colloqui della struttura carceraria ove il figlio di un detenuto accusava un malore”.