13 dicembre 2012 – Stefano Cucchi morì per grave carenza di cibo e liquidi. Fu colpa dei medici che non si resero conto di essere davanti a un caso “malnutrizione importante” e si fossero attivati seguendo il protocollo e le procedure giuste il giovane non sarebbe morto. Questa la conclusione dei periti incaricati dalla III Corte d’assise di Roma di accertare le cause della morte del geometra, morto una settimana dopo il suo arresto nel reparto detenuti dell’ospedale Pertini.
In particolare:
1) Nessun medico curò registrazione qualità e quantità alimenti
“In generale manca inoltre da parte dei sanitari della struttura protetta una attenzione all’esame obbiettivo del paziente: certamente si trattava di un paziente non facile, ma l’assenza di descrizione clinica anche solo della ispezione vieppiù denota come le condizioni generali di Stefano Cucchi fossero sottovalutate”. Così i periti della III corte d’assise di Roma scrivono in un passaggio del dossier riguardante il giovane morte nell’ottobre del 2009 ad una settimana dal suo arresto.
“Da nessun sanitario – si aggiunge – è fatta richiesta di un controllo seriato del polso periferico e centrale, della pressione arteriosa, della diuresi, degli elettroliti plasmatici e urinari, del Ph e gas analisi, di un controllo glicemico anche solo con un stix, di una ripetizione dell’elettrocardiogramma”. E poi “nessun medico cura (né in tal senso vengono date disposizioni agli infermieri) che siano regolarmente registrate qualità e quantità di alimenti e liquidi ingeriti da Cucchi; della scarsa attenzione ad una regolare raccolta e registrazione della diuresi”. Invece “si pone attenzione alle questioni di natura ortopedica ma nel contempo ci si trincea dietro il rifiuto del paziente ad essere visitato e senza entrare nel merito delle motivazioni alla base di questo rifiuto”.
2) 17 accessi al pronto soccorso dal 1999 al 2009
Stefano Cucchi, nato il 17 gennaio 1978, in base alla anamnesi riportata nella cartella dell’ospedale Pertini fumava 20 sigarette al giorno e prendeva 7 od otto caffè. Inoltre faceva uso di droghe (eroina, cocaina, cannabinoidi, metadone).
I periti nominati dalla III corte d’assise del tribunale di Roma mettono in fila la “storia clinica” del giovane morto ad una settimana dal suo arresto. “Dal dicembre 1999 al settembre 2009 sono documentati 17 accessi al pronto soccorso per svariati motivi (traumi, contusioni, ferite da taglio lacero-contuse, crisi comiziali da abuso di alcolici, overdose, stato ansioso)” Cucchi poi “soffriva di crisi epilettiche dall’età di 18 anni; e nel settembre 2009 gli era stato diagnosticato il morbo celiaco”.
Per tutto questo, e sottolineando la perdita di peso del giovane “il medico di fronte ad un paziente che rifiuti di nutrirsi e bere è grandemente coinvolto sotto il profilo deontologico ed etico; e lo è particolarmente quando il rifiuto è una forma di protesta del detenuto, che ritenga di non aver altro modo per far valere le proprie richieste”. Perché “nello sciopero della fame la libertà di scelta, per essere libera, deve essere informata, vale a dire formarsi solo sulla scorta di una corretta ed esaustiva informazione da parte del medico”.
Anche nei casi clinici “estremi” come quello di Stefano Cucchi, il Medico Penitenziario, che operi intramoenia o in un reparto ospedaliero di Medicina Protetta, deve sempre prestare la propria assistenza nel superiore bene del singolo paziente e, nei limiti consentiti dagli ambienti, richiedere il costante monitoraggio dei parametri vitali ai pazienti in scipero della fame. Qualora questo non fosse possibile, si deve in alternativa richiederne il ricovero ospedaliero.