Viterbo, 8 maggio 2014 – I preconcetti o semplicemente le brutte consuetudini sono dure a morire.
Non ci sono solo le banane di Dani Alves ma anche i GABBIONI.
Ho già i scritto su questi argomenti e sono determinato a disturbare ancora per molto tempo, consapevole che solo la perdurante insistenza anche di pochi, se basata su principi credibili e condivisibili, alla fine riesce a farli comprendere.
Certamente non si può accusare il Governatore della Puglia Vendola di indifferenza nei confronti dei detenuti, ma viene da chiedersi perchè, quando sui giornali i reparti per i detenuti della sua Regione, come a Bisceglie e Bari, vengono chiamati con naturalezza “ IL GABBIONE”, la cosa passi inosservata.
Ora, se “IL GABBIONE” è un reparto ospedaliero figuriamoci cosa possono essere le carceri. Si dirà, è semplicemente un appellativo locale dialettale, contano solo i fatti. Si, ma le parole servono a trasmettere il pensiero, a volte lo rivelano e un gabbione trasforma gli uomini in animali.
In verità i gabbioni pugliesi non sono neanche reparti ospedalieri o “repartini”, altra perla di una subcultura penitenziaria che pretende di infantilizzare tutto ciò che a che fare con il detenuto, il quale viene obbligato a redigere non la domanda ma la domandina e cosi’ via, non avendo il permesso di scegliere se mangiare una mela o un melone, dipendendo dal regolamento dei differenti 205 istituti penitenziari.
Tali inutili strutture, sono spesso squallidi locali trasformate in camere di sicurezza dove l’offerta ospedaliere è un optional. Le persone vengono condotte in ospedale perché necessitano di assistenza non possibile in carcere e arrivano in un luogo dove immediatamente si percepisce la distanza: la distanza dagli altri pazienti, la distanza dai medici, la distanza dalla polizia penitenziaria. Provate a immaginare come può sentirsi una persona malata alla quale non si fa mistero cha costituisce un fastidio; per gli altri degenti, per i medici e gli infermieri che hanno i loro pazienti, per gli agenti distolti dal lavoro in carcere. Forse non è cosi strano che una persona, se non in fin di vita, preferisca tornare in carcere il più rapidamente possibile.
Allora?
Questo Paese è stato capace di esprimere idee e realizzarle e si chiamano reparti di Medicina Protetta e li potete trovare all’Ospedale San paolo di Milano, Belcolle di Viterbo, Pertini di Roma. In tali strutture lavorano medici, infermieri agenti di polizia dedicati, che svolgono il loro ruolo nel rispetto del paziente, con servizi interni di buon livello e soprattutto la disponibilità di tutte le specialistiche e la stessa assistenza assicurata agli altri degenti.
Tutto risolto?
No perché le limitazioni anche in questi reparti sono tante, l’isolamento forzato, l’eccessiva paura di evasione degli agenti di Polizia (non si è mai verificata una fuga in nessuno dei raparti citati), il disagio psichico che rende tutto più difficile, ma sono comunque luoghi pensati per curare le persone e non per metterli in gabbia.
I GABBIONI non si possono mangiare come le banane, ma si possono abbattere. Come i pregiudizi.
Giulio Starnini
Direttore Reparto Medicina Protetta – Malattie Infettive, Ospedale Belcolle Viterbo
Past-President Fondatore SIMSPe-onlus
Consultant Dipartimento Amministrazione Penitenziaria