Milano, 17 Giugno 2016 – Nei giorni dal 6 all’ 8 giugno scorso, si è tenuta presso il Polo Universitario Bicocca di Milano l’ottava edizione del Congresso ICAR, che ha ospitato circa 300 contributi riguardanti l’infezione da HIV e virus epatitici.
L’attività scientifica della nostra Sociètà è stata rappresentata da 3 contributi del gruppo di Viterbo e di Milano (una comunicazione orale, due posters con discussione orale) relativi al tema dell’infezione da HCV nei pazienti detenuti.
Alcuni nostri rappresentanti inoltre (Babudieri, Madeddu,Starnini), hanno svolto la funzione di moderatori in varie sessioni scientifiche.
I lavori presentati hanno riguardato la comune tematica della fattibilità della terapia dell’infezione da HCV con i farmaci inibitori delle proteasi di nuova generazione in ambito detentivo.
Il gruppo di Viterbo ha descritto il percorso diagnostico e terapeutico realizzato attraverso un ambulatorio dedicato, cui afferiscono pazienti detenuti da tutto il Lazio e che raggiunge il duplice obiettivo di curare il paziente ristretto affetto da HCV e di mantenere il collegamento con il territorio anche in prospettiva e dopo il rilascio. L’aspetto della continuità della cura è infatti fondamentale per il paziente detenuto, in particolare nell’ambito di terapie che richiedono stretto follow up anche dopo il trattamento.
Il gruppo di Milano ha presentato un modello operativo che conduce all’eliggibilità al trattamento del paziente HCV positivo ristretto , cercando di escludere tutti quegli elementi non strettamente clinici (es. giudiziari e personali) che riducono tale eleggibilità. I dati riportati dimostrano come, anche in ambito penitenzario, si possa raggiungere un’elevata percentuale di pazienti trattati se si adottano percorsi dedicati.
Come viene descritto nell’ultima presentazione, il ridotto impatto dei farmaci inibitori delle proteasi di nuova generazione sulla sfera neuropsichica, costituisce una delle motivazioni per l’ampliamento dell’eleggibilità al trattamento del paziente ristretto e nello stesso tempo rappresenta un superamento dei limiti imposti dall’uso dell’interferone.
I lavori presentati confermano l’impegno che è anche di altri gruppi nell’adattare sempre di più gli schemi diagnostici e terapeutici del paziente detenuto ad una realtà che sia confrontabile a quella dei pazienti in libertà
Riporto gli abstract dei lavori presentati affinchè possano essere di comune condivisione ed auguro a tutti un sereno e collaborativo lavoro.
Roberto Ranieri – SIMSPe Editorial Manager
ABSTRACTS IN ALLEGATO