Incontri informativi, attività di educazione e distribuzione di kit di igiene personale per spezzare la catena del contagio dell’epatite C: questi i pilastri su cui si basa il progetto ENEHIDE, promosso da EpaC Onlus e SIMSPe Onlus, che è partito nella Casa Circondariale di Viterbo e ha coinvolto il personale sanitario, la polizia penitenziaria e le persone detenute. L’obiettivo finale è la realizzazione di un modello standard che possa essere utilizzato a livello nazionale.
Trasformare il carcere in un luogo di informazione, educazione e formazione sulla propria salute, in particolare sul pericolo di infezione da epatite C. E rompere così la catena del contagio. È l’obiettivo di ENEHIDE (EducazioNE e prevenzione sull’HCV negli Istituti Detentivi), un progetto pilota partito il 24 marzo 2017 nella Casa Circondariale di Viterbo, che ha come obiettivo la realizzazione di un percorso standardizzato di informazione e prevenzione sull’epatite C, sulle modalità di contagio, abitudini, usi e precauzioni da adottare per ridurre il rischio di trasmissione all’interno delle realtà detentive, coinvolgendo il personale sanitario e la polizia penitenziaria, oltre alle persone detenute.
ENEHIDE è promosso dall’Associazione EpaC Onlus e SIMSPe Onlus (Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria) ed è patrocinato dal Ministero della Giustizia, dal Consiglio regionale del Lazio e dalla Asl di Viterbo.
Negli istituti di detenzione italiani, infatti, vive una comunità di persone particolarmente esposta all’infezione da HCV: la prevalenza di epatite C è stimata tra il 7,4% e il 38% su un totale di 56mila detenuti. Percentuali che salgono ancora di più se consideriamo la popolazione femminile: le donne detenute, pur essendo di meno degli uomini, hanno più spesso problemi di tossicodipendenza, che aumenta il rischio di trasmissione del virus.
“L’epatite C è un problema di salute collettiva: si tratta di persone che una volta tornate in libertà rientreranno nella società ed è importante che siano consapevoli dei rischi connessi a determinati comportamenti e della possibilità di prevenire il diffondersi dell’infezione”, ha dichiarato Giulio Starnini, direttore dell’U.O. di Medicina Protetta Malattie Infettive presso l’Ospedale Belcolle di Viterbo e coordinatore del progetto per SIMSPe, in occasione della conferenza stampa di presentazione del progetto svoltasi a Roma il 21 marzo.
“Ma è anche un problema di tutela della salute di chi è detenuto, che ha il diritto di essere trattato come gli altri cittadini”, ha affermato Luciano Lucania, presidente SIMSPe. Diritto che passa per l’accesso alla diagnosi, anche perchè oggi solo una minima parte dei detenuti è effettivamente sottoposta a screening per la presenza di HCV. “In un momento in cui si parla molto di epatite C e di accesso ai farmaci, pensiamo sia opportuno puntare i riflettori su una realtà spesso ignorata, ma di fronte alla quale non possiamo voltarci dall’altra parte. Alle persone detenute va garantito lo stesso standard di trattamento che avrebbero fuori dal carcere perché la salute è un diritto primario”.
Per cercare di dare una risposta concreta a questo bisogno di maggiore tutela della salute dei detenuti, EpaC e SIMPSe hanno dato vita a ENEHIDE, una serie di attività, eventi di formazione e azioni concrete di distribuzione di materiale, rivolte a tutta la comunità che vive negli istituti penitenziari. “La conoscenza è alla base della possibilità di compiere delle scelte informate: è quindi fondamentale che tutti abbiano gli strumenti per prevenire e limitare l’infezione da HCV”, ha dichiarato Massimiliano Conforti, vice-presidente dell’Associazione EpaC Onlus e responsabile del progetto. “L’obiettivo di ENEHIDE è aiutare a migliorare le condizioni di salute delle persone detenute, per spezzare la catena del contagio e per combattere lo stigma che ancora avvolge le persone con HCV”.
La Casa Circondariale di Viterbo, che ha accolto con entusiasmo la proposta di condurre il pilota, non è nuova a progetti di informazione e formazione a favore di tutte le persone che si trovano in carcere a qualsiasi titolo, che siano detenuti o che ci lavorino “perché ENEHIDE è strutturato in maniera solida e rigorosa per ottenere risultati in termini di prevenzione e di informazione”, come ha spiegato Teresa Mascolo, direttore della Casa Circondariale di Viterbo. “Uno dei punti di forza, per esempio, sarà la presenza di mediatori linguistico-culturali anche in lingue diverse dalla nostra, che ci consentirà di stabilire una relazione immediata e speriamo fruttuosa con le persone detenute straniere, circa il 60%”. Per avere una comunicazione efficace con chi proviene da paesi stranieri è infatti importante poter abbattere le barriere linguistiche e le incomprensioni di tipo culturale.
ENEHIDE ha previsto il coinvolgimento di tutti quelli che ruotano intorno alla realtà detentiva, come il personale di Polizia Penitenziaria. “La Polizia Penitenziaria, per le sue specialistiche funzioni, svolge un ruolo ad alta valenza umanitaria che va oltre gli aspetti connessi alla sicurezza. In sinergia con tutte le altre componenti, garantisce l’attivazione e il buon andamento dei percorsi trattamentali rivolti alle persone detenute. L’efficacia dei progetti rieducativi è il risultato dell’intelligente lavoro comune, che guarda alla persona detenuta nella sua complessità”, ha sottolineato Santi Consolo, Capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.
La Casa Circondariale di Viterbo è uno dei 14 istituti detentivi del Lazio, terza fra le Regioni in quanto a numero di detenuti ospitati: a gennaio 2017, la popolazione carceraria laziale era di 6.211 persone (su un massimo di detenuti previsti di 5.235), di cui il 43,6% stranieri.
“E’ anche per questo motivo che si spiega l’attenzione della Regione Lazio verso progetti come questo”, ha aggiunto Teresa Petrangolini, Consigliere regionale del Lazio, membro della Commissione Politiche sociali e salute del Consiglio regionale. “Riteniamo necessario raggiungere risultati concreti anche nel campo dell’assistenza e della prevenzione: a questo scopo, la Regione ha avviato un tavolo di lavoro con le associazioni dei pazienti di epatite C dal quale è nato un Osservatorio permanente che ha tra gli obiettivi quello di aggiornare il registro delle persone con HCV, monitorare la prevalenza dell’infezione, promuovere una prevenzione mirata ed effettuare campagne di sensibilizzazione e screening in popolazioni come quelle detenute. Ecco perché siamo felici che il progetto ENEHIDE parta proprio da qui”.
Il progetto ENEHIDE si è articolato in 20 incontri di formazione e informazione rivolti alle persone detenute, al personale sanitario operante nell’istituto detentivo (circa 50 tra medici e personale infermieristico) per migliorare la loro conoscenza dell’HCV, oltre che ai 400 agenti di polizia penitenziaria operanti in Istituto. Accanto a queste attività, il progetto ha previsto anche la diffusione di strumenti di prevenzione, come la distribuzione di opuscoli informativi tradotti in sei lingue, e la messa in pratica di buone abitudini che interrompano la catena del contagio e la reinfezione. In particolare, sono stati distribuiti strumenti di igiene personale (oltre 2.000 spazzolini e 2.000 tubetti di dentifricio), sostituiti con regolarità.
Il progetto pilota è durato sei mesi e vuole dimostrare per prima cosa che un’azione di questo genere è realizzabile. “Abbiamo stabilito degli indicatori di efficacia che ci aiuteranno a capire cosa funziona e cosa no”, ha concluso Conforti. “Con ENEHIDE vogliamo dimostrare che l’informazione giusta data nella maniera corretta produce risultati in termini di maggiore prevenzione e controllo della malattia. Partiamo da Viterbo, ma il nostro obiettivo è diffondere questo modello a tutte le realtà detentive italiane”.
Lancio del Progetto ENEHIDE: Adnkronos
Video Interviste (Adnkronos)