Il tema della eradicazione dell’Epatite C nelle carceri ha avviato il XXI Congresso nazionale SIMSPe (Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria) “L’Agorà Penitenziaria 2020” dell’1-3 ottobre scorsi.
Le relazioni si sono sviluppate su quattro moduli principali che esprimono, a nostro parere, le attuali principali criticità della sanità in carcere: “La gestione dei pazienti detenuti in era CoViD” (focus su screening e vaccinazioni, Hcv e Hiv), “Infermieristica penitenziaria e conflittualità ambientali”, “Il paziente psichiatrico detenuto e la presa in carico multidisciplinare” e infine “Aspetti di medicina legale per medici e professioni sanitarie”.
Si sono portate al centro del dibattito anche le situazioni che gli operatori sanitari tutti hanno vissuto in questi mesi e le esperienze acquisite, preziose per trovare le soluzioni migliori ai diversi problemi clinici, organizzativi e logistici che quotidianamente emergono in questo ambito. Il sovraffollamento degli istituti penitenziari è decisamente migliorato, passando dal 20,3% al 6,6%, per l’assenza di arresti nel periodo del lockdown. Adesso, e da molti mesi con la nuova fase, appare nuovamente in crescita e diventa necessario eseguire estesamente sia i test Hcv che Sars-CoV2, non solo in chiave di prevenzione della pandemia, ma nella possibilità concreta di avviare cure necessarie sotto il profilo generale anche per problematiche gravi e significative quali l’epatite C, che oggi è divenuta certamente più gestibile anche in ambienti difficili quale il carcere. La possibilità, nonostante questa situazione generale, di ottenere anche in carcere la remissione della patologia e di avere sezioni HCV-free limitando la sua diffusione, non appare irrealizzabile, anche valutando i dati presentati in uno specifico studio su 8 istituti penitenziari.
Il Covid-19 ha reso più evidente un’altra emergenza sanitaria: quella della salute mentale. Depressione, ansia e disturbi del sonno, durante e dopo il lockdown, hanno accompagnato e stanno riguardando più del 41% degli italiani. Le persone rinchiuse nelle carceri costituiscono soggetti particolarmente vulnerabili: secondo dati noti, circa il 50% dei detenuti era già affetto da questo tipo di disagi prima della diffusione del virus. Erano frequenti dipendenza da sostanze psicoattive, disturbi nevrotici e reazioni di adattamento, disturbi alcol correlati, disturbi affettivi psicotici, disturbi della personalità e del comportamento, disturbi depressivi non psicotici, disturbi mentali organici senili e presenili, disturbi da spettro schizofrenico. Questo oggi si pone come una delle questioni più gravi del sistema penitenziario italiano. Il confronto su questo tema delicato ha evidenziato la necessità di avviare una concreta e diffusa integrazione dei servizi del territorio e di quelli attivi all’interno del carcere; è parimenti necessario che anche il sistema penitenziario sia in grado di affrontare in sinergia questo problema che in questo momento storico, seguente la chiusura degli Opg, si manifesta come una delle maggiori criticità interne agli istituti di pena.
Il ruolo dell’infermiere nell’ambito penitenziario è centrale, sebbene spesso non venga messo a fuoco a sufficienza. La sua è una responsabilità che va ben oltre quella sanitaria, poiché coinvolge la sicurezza personale di tutti coloro che lavorano in carcere. Il gruppo infermieristico di SIMSPe ha in corso lo sviluppo di diversi filoni di ricerca che permettano di valorizzare la figura dell’infermiere e di ottimizzarne il contributo professionale.
Il XXI Congresso è stato concluso con una partecipata web conference sugli “Aspetti di medicina legale per medici e professioni sanitarie”, tema centrale nello sviluppo delle attività sanitarie del Ssn all’interno del carcere e del mondo dell’esecuzione penale. La definizione e modulazione del rischio clinico, lo stesso risk management, la piena cognizione degli aspetti critici dell’attività quotidiana hanno scandito questa sezione, che ha espresso anche un focus per individuare i più opportuni rapporti di comunicazione fra il medico penitenziario e l’Autorità giudiziaria. Dal panorama delineato è emerso come la pandemia abbia portato in assoluta evidenza le criticità del sistema. Di quel sistema già anacronistico nel 2008 che come tale è transitato al Ssn nelle articolazioni regionali, ognuna delle quali ha attivato modelli operativi e gestionali, nonché rapporti di lavoro con il personale disomogenei e spesso confusi nella persistenza perdurante di vecchio e nuovo. Quali le necessità? Le evidenze scientifiche, sotto il profilo infettivologico, psichiatrico, internistico, modulate alle esigenze del sistema penitenziario e quindi con la necessità di coniugare la sicurezza sociale e l’esecuzione della pena con il rispetto della persona e la cura della malattia eventuale (cronica pre-detenzione o acuta intercorrente) esprimono paradigmi che pur nel rispetto delle esigenze penitenziarie, non antepongano queste alle esigenze strettamente cliniche e sanitarie. Un sistema da ripensare. Riteniamo che necessiti identificare con chiarezza la sanità penitenziaria, con pari dignità rispetto agli altri servizi delle Aziende Sanitarie. Con analoghi modelli ed organizzazione. Necessita a livello regionale un adeguato numero di posti ospedalieri di medicina “protetta”, cioè un reparto ospedaliero ristrutturato in sicurezza detentiva e sede di specifica aliquota di Polizia Penitenziaria, attraverso cui erogare le prestazioni in ricovero (mediche e chirurgiche) oltre che i servizi di day hospital e day surgery. All’interno degli istituti di pena è necessario definire e potenziare gli attuali presìdi per consentire una offerta di prestazioni ambulatoriali in linea con le richieste, e attivare una rete di sezioni sanitarie vocate alle cronicità mediche ed alla disabilità, categorie sanitarie in crescita, ed infine ripensare globalmente la gestione del disagio psichico e della patologia mentale, nell’ambito del definitivo superamento Opg ma rammentando che proprio per questi aspetti il binomio carcere-territorio diviene una assoluta necessità.
Una riforma della riforma, complessa e probabilmente onerosa sotto il profilo strutturale e strumentale, ma i fondi non sembrano mancare alla luce delle disponibilità espresse dall’Unione Europea nelle varie forme di finanziamento dei progetti. Forse manca il progetto. Potrebbe essere il momento di scriverlo e stimarne i costi. Noi ci siamo. Le nostre professionalità e l’esperienza nel settore sono disponibili per dare finalmente questa svolta, ormai non più differibile.
Articolo uscito il 07-10-2020 su Sanità24 Il Sole 24 Ore a firma Luciano Lucanìa, Presidente SIMSPe