SASSARI. «Se in Sardegna dovessero arrivare – come si dice – 2000-2400 detenuti dalle carceri del nord Italia, sarebbe un fatto grave, anche perchè una crescita così forte della popolazione avverrebbe in un momento di transizione e di incertezza che prevede il passaggio della medicina penitenziaria al Sistema sanitario nazionale». La denuncia è del direttivo della Società italiana di medicina e Sanità penitenziaria che sottolinea la gravità della situazione.
«La competenza della sanità penitenziaria è stata trasferita, già dal mese di settembre dello scorso anno, alla Regione – sostiene la Simspe – ma ancora non è stata organizzata nei fatti l’assistenza ai detenuti. Si va avanti a vista, i contratti sono stati prorogati fino a settembre 2012, ma i medici e gli infermieri che assistono i detenuti non hanno, in questo momento, un punto di riferimento stabilito nella sanità sarda». E’ evidente che la vertenza pone in rilievo anche il ruolo e il futuro dei medici penitenziari: «Potranno continuare a agire nello stesso modo – chiede il direttivo della Simspe – quindi con il pieno riconoscimento del ruolo e delle competenze acquisite, oppure si deciderà di fare a meno di chi da decenni opera nelle carceri?».
Per la Simspe la situazione è preoccupante: «Se arrivano più di duemila detenuti, così come viene messa in evidenza la carenza di personale di custodia, altrettanto occorrerà fare per i medici. Perchè un carico umano così rilevante, comporterà un aggravio del lavoro oltre a una crescita significativa della spesa sanitaria. Si dovranno, infatti, continuare a trattare patologie infettive importanti già presenti negli istituti sardi, ma si aggiungeranno altre situazioni complesse».
La Società italiana di Medicina e Sanità penitenziaria ha promosso incontri con le Università di Cagliari e Sassari per promuovere Master in Medicina penitenziaria per istruire il personale oltre che dal punto di vista sanitario, anche legale e psicologico.
«Abbiamo proposto all’assessorato regionale alla Sanità la costituzione di un tavolo tecnico, per organizzare al meglio il servizio sanitario, mettendo a disposizione esperienze ventennali nel campo della medicina penitenziaria. Purtroppo la proposta è caduta nel nulla. Forse l’obiettivo è fare a meno di chi, per anni, ha lavorato negli istituti?».
– Gianni Bazzoni