Nei prossimi giorni (1° ottobre 2008) l’attività sanitaria svolta all’interno delle strutture penitenziarie italiane diverrà di competenza del Ministero del Welfare (che ha inglobato quello della Salute) e delle sue emanazioni sul territorio, rappresentati dagli Assessorati Regionali alla Sanità e dalle Aziende Sanitarie Locali. In un’ottica di sano federalismo, possiamo affermare che il Servizio Sanitario Regionale (visto che sono le Regioni a presiedere e coordinare le attività delle Aziende Sanitarie Locali) acquisirà una nuova competenza, per la quale tuttavia le attività di
coordinazione e supervisione saranno indispensabili.
Le strutture penitenziarie, a differenza delle Aziende Sanitarie Locali, sono fortemente correlate tra di loro, sia a livello nazionale che ( e soprattutto) a livello regionale, data l’elevata osmosi e la necessità di una profonda interconnessione. In Lombardia, come UOSP assieme alla Dott.ssa Patrizia Massa, di concerto con il Provveditore, dottor Luigi Pagano, avevamo cominciato ad attivare un circuito sanitario penitenziario, finalizzato a
• qualificare
• diversificare
• valorizzare
le caratteristiche e peculiarità delle singole strutture, con l’obiettivo di consentire a ciascuna di lavorare al meglio, premiando le realtà maggiormente impegnate, che (con il loro impegno e la loro efficienza) consentivano di garantire la realizzazione di quella che resta la “mission” del Servizio Sanitario Penitenziario, vale a dire garantire al detenuto la migliore assistenza sanitaria possibile con livelli sovrapponibili a quelli garantiti ai cittadini liberi ed al contempo garantire la sicurezza della collettività e le esigenze di tipo giudiziario. Il tutto con un approccio unificante, essendo le leggi dello Stato uniche ed essendo il rispetto delle stesse un imperativo per qualunque persona, libera o reclusa che sia. Dal 1° ottobre è auspicabile non vi sia un semplice trasferimento di competenze alle ASL, bensì l’attivazione presso le Regioni di una commissione permanente, composta da membri di quest’ente e del Provveditorato Regionale, capace di svolgere (magari in maniera potenziata ed ampliata) l’azione svolta dalle Unità Operative di Sanità Penitenziaria, assumendo come modello quello delle regioni in cui esse hanno funzionato. Non una semplice assunzione di un nuovo servizio, ciò sarebbe semplicistico e negherebbe la complessità e delicatezza dell’azione che i sanitari svolgono in carcere. E’ auspicabile che gli Assessorati alla sanità regionale si facciano carico, nell’ambito della loro attività, dell’attivazione di un Servizio Sanitario Regionale Penitenziario, capace di a) gestire accuratamente le risorse trasferite dal Ministero delle Giustizia; b) valutare, singolarmente, le realtà penitenziarie della regione, continuando e potenziando il lavoro cominciato in alcune di queste ; investendo su quelle che possono fungere da strutture di riferimento (centri clinici e strutture di riferimento per attività specifiche svolte o connotazione funzionale), al fine di consentire a quelle più piccole o funzionalmente meno efficienti di potere comunque raggiungere livelli qualitativi adeguati; c) prendere atto (come nello spirito della legge nazionale) della specificità del servizio garantito e definire le modalità più idonee per garantirsi la collaborazione delle figure professionali più valide (singoli operatori), sulla base di indicazioni di merito fornite da chi fino ad oggi le aveva gestite, vale a dire Provveditorati Regionali dell’A.P. e direttori penitenziari, al fine di valorizzare (come ormai virtuosamente si afferma) il merito, evitando iniziative “a pioggia” o indiscriminate che rallenterebbero quello che è l’obiettivo principale di questa iniziativa legislativa, vale a dire garantire il miglioramento qualitativo e quantitativo dell’assistenza sanitaria penitenziaria d) aprire effettivamente le carceri al territorio, ma non in maniera populistica e demagogica, bensì efficace ed efficiente. E’ auspicabile che le AA.SS.LL., sulla base delle informazioni fornite loro dai coordinatori sanitari (Dirigenti Sanitari e Medici Incaricati) definiscano un serio programma di attivazione di servizi ambulatoriali all’interno delle strutture penitenziarie, al fine di garantire
• tempestività negli interventi
• inutili sovraesposizioni
dei detenuti all’esterno, con oneri elevati per la collettività e l’Amministrazione Penitenziaria E’ bene, da questo punto di vista, fare una netta puntualizzazione: si eviti, con il distacco del servizio sanitario penitenziario dall’Amministrazione Penitenziaria, quegli atteggiamenti “schizoidi” e poco civili del tipo “chi se ne importa dei disagi del Personale di Sorveglianza” o (all’opposto) “la sanità penitenziaria è delle ASL. Chi se ne importa delle risorse che hanno o meno, loro DEVONO fornirci quello che ci spetta!” Spesso nel nostro paese la “memoria dell’esperienza dei Comuni” ci porta a dimenticare che il bilancio del nostro paese è uno e ad esso contribuiscono tutte le voci di spesa, indipendentemente dal ministero, istituzione o persona che le gestisce. . Questo passaggio richiede uno sforzo di integrazione tra istituzioni, cui i Medici e gli altri operatori sanitari penitenziari sono adusi da anni. Le istituzioni è auspicabile mostrino pari se non superiore capacità Un lavoro del genere, frutto di un travaglio durato decenni, non si risolve con “passaggio finanziario” da un ministero all’altro. Quel che avverrà il 1° ottobre, a mio modestissimo parere, è solo l’inizio di un percorso che vedrà a braccetto autorevolissime e competenti figure di vertice o delle Regioni o delle ASL (direttori sanitari, capi di dipartimento) o e Dirigenti Sanitari e Medici Incaricati Penitenziari umili e consapevoli, questi ultimi, delle dimensioni (ma anche dell’estrema complessità) degli ambiti in cui hanno operato e delle problematiche di fondo da cui dovranno partire i loro interlocutori, estremamente autorevoli, competenti e gravati da problemi di gestione di risorse e di budget, ma altrettanto consapevoli di essere privi dell’esperienza all’interno. E’ auspicabile che gli operatori sanitari penitenziari – collegialmente ed attraverso i loro coordinatori – di concerto con i Direttori delle strutture, si mettano a disposizione delle ASL per consentire alle stesse di comprendere chiaramente la realtà su cui dovranno operare ed individuare le modalità migliori per potenziare (con criteri di economicità e di efficienza) quanto già esistente. In alcune regioni un primo passo si era già compiuto con la definizione di momenti di incontro per applicare direttive regionali in materia di igiene nelle carceri. Un modello che veda il Coordinatore Sanitario (attualmente Dirigente Sanitario o Medico Incaricato) delle strutture penitenziarie, fortemente connesso con il direttore sanitario della ASL di competenza e con i responsabili dei servizi e dei dipartimenti è probabilmente quello che maggiormente può favorire l’integrazione (in chiave sanitaria) tra carcere e territorio. La dipendenza funzionale e la connessione con le Aree Operative interne e questa funzione di trait – d’union con le strutture sanitarie esterne, può migliorare quei tentativi, già talvolta messi in atto di sfumare i confini fisici con l’esterno. E’ chiaro che un lavoro così oneroso richiede un adeguato inquadramento ed un incarico a tempo pieno che attualmente, risibilmente ancora non è riconosciuto. Quello che ci attende è un lavoro di rifondazione nel quale ( a differenza del passato) non siamo più soli. Credo sia un errore (anche se il nostro mondo professionale, vive un momento di profonda crisi di valori!) ritenere che i colleghi ed i responsabili delle AA.SS.LL. siano dei cinici e disinteressati amministratori di un bene pubblico (la salute) che in carcere deve valere meno che all’esterno. Personalmente posso testimoniare che in Lombardia (sia in sede regionale, che in molte realtà territoriali) questo passaggio di competenze è stato accolto con scrupolosa attenzione. Certo, è inimmaginabile che esso possa avvenire senza il nostro capillare (anche territorialmente parlando) contributo. Ma questo dipende anche da noi e dalla nostra capacità di proporci in maniera efficace nelle sedi opportune. A tale proposito mi sembra opportuno ricordare una particolare occasione, il Congresso Nazionale delle SIMSPE che si terrà proprio a Milano il 2, 3 e 4 ottobre. E’ auspicabile che in tale sede – nella quale sono state invitate le più prestigiose figure della sanità nazionale e regionale lombarda – si riescano ad elaborare proposte concrete e riflessioni da sottoporre all’attenzione degli Ammistratori regionali e locali. Mi piace concludere, riportando un passaggio del mio precedente scritto, relativo alla specificità di noi medici penitenziari “quanto l’unica, peculiare, irripetibile esperienza a contatto con i problemi e le espressioni di sofferenza più intensa e profonda, con il degrado e la disperazione e … la perdita di libertà (!) abbiamo portato come esperienza umana e professionale all’esterno e non solo con il “tossico”, il “matto” o il “delinquente”, ma con la persona cosiddetta “comune”, con l’adolescente ed il giovane in crisi, o con il genitore disperato, riuscendo a discriminare patologie e stati di disagio, comunque di nostra pertinenza, che ad altri erano sfuggiti?! E’ questa la meravigliosa pervasività della nostra esperienza, quel quid in più che la rende unica, irripetibile, insostituibile ed indispensabile e che rende noi patrimonio per la sanità pubblica”. Dal 1° ottobre noi medici ed operatori sanitari penitenziari in genere, con la consueta pacatezza ed umiltà, ma anche con molta fermezza, porteremo più chiaramente a conoscenza della sanità pubblica le problematiche, le esigenze e le realtà sanitarie presenti all’interno delle carceri. Saremo espressione di quanto gli altri operatori, in primis i responsabili della sicurezza e gli educatori, ma anche i nostri assistiti reclusi hanno saputo insegnarci. Da un ambito nel quale la competenza silentemente spesso si coniuga con la “pietas”, ribadiremo la nostra volontà di continuare a svolgere con ancor maggiore impegno il servizio fin qui compiuto.
22/09/2008