Giuseppe Sole, medico del SIAS Servizio Integrativo Assistenza Sanitaria è quella componente del Servizio Sanitario Penitenziario che assolve alle principali funzioni sanitarie interne delle strutture penitenziarie. Il monte ore giornaliero del servizio è (persino nelle strutture più piccole) di gran lunga superiore alle rigide diciotto ore attribuite al Medico Incaricato Provvisorio o Dirigente Sanitario, per cui sono tali colleghi che adempiono alle maggiore quantità di interventi sanitari interni.
Il reclutamento di personale per una struttura penitenziaria (compreso quello sanitario) non può avvenire scorrendo un’anonima graduatoria, ma deve avvenire secondo criteri precisi che consentano di conciliare
-esigenze di sicurezza
-ad esigenze specifiche di tipo sanitario.
Un medico penitenziario è figura professionale specifica e la mancanza di un corso di specializzazione o di formazione devono indurre alla massima attenzione nel valutare i requisiti, non solo di natura tecnica, ma anche attitudinale.
Come più volte ha ribadito Angelo Cospito un medico penitenziario è un professionista che – carico del suo bagaglio professionale – entra nella struttura detentiva per arricchirsi di conoscenze, esperienze ed approcci procedurali in parte non accessibili in nessun altro luogo esterno.
Il collega Giuseppe Sole fu contattato scorrendo un elenco e già dai modi evidenziò uno stile (fatto di educazione e compostezza) che deponevano bene. Coinvolto dal direttore nel momento selettivo e nei colloqui preliminari, mi trovai al cospetto di un collega che aveva un curriculum professionale già corposo. Alla buona esperienza clinica (acquisita nei servizi di assistenza primaria), associava una specializzazione in scienza dell’alimentazione. Mi colpì la sua sensibilità e la motivazione a dare il proprio contributo (perchè membro di questa società, prima ancora che medico) in un ambito sociale che non può essere “nascosto”… ai margini.
Comprese subito la portata del progetto di riorganizzazione che si voleva portare avanti e lo condivise immediatamente. Nei mesi che seguirono imparò procedure ed approcci che altri stentavano ad assimilare, pur essendo in servizio da molto più tempo.
Fu un collega esemplare:
• appropriato tecnicamente in ogni intervento;
• rispettoso della persona detenuta ed accurato se questa era ammalata;
• disponibile, fino al punto di mettere a disposizione la suaconoscenza specialistica di scienza dell’alimentazione per migliorare questa problematica (talvolta scarsamentevalutata) e senza fare pesare questo “di più” in alcun modo;
• comprensivo ed operoso, con una capacità di sacrificarsi nell’interesse del gruppo che solo altri due colleghi (in quelgruppo) condividevano con lui;
• forte ed autorevole, quando rilevava delle irregolarità e non supino a quelle consuetudini eccessivamente “deleganti”che qualche collega meno “impegnato” tendeva a mettere in atto.
Ci convincemmo, a malincuore, della necessità che si astenesse dal lavoro quando la sua stanchezza divenne più marcata…siamo medici di frontiera, spesso sovraccarichi di impegni ed il suo malessere somigliava a quello che altri tra noi più volte hanno provato e trascurato, per non lasciare sguarnito un turno ed un servizio o un collega in difficoltà. Altri non la avevano fatto, ma lui si era sempre sacrificato.
…un medico penitenziario, l’uomo che assiste chi (come la legge prevede) è privato della libertà, non voleva disperarsi, così come aveva consigliato diverse volte a un nuovo giunto o ad una persona in difficoltà.
E lui ci sapeva fare ed i detenuti da lui si facevano visitare più volentieri, perchè era serio e credibile e la sua determinazione spingeva a stimarlo e non a biasimarlo.
Era una buona espressione di quella collettività civile ed operosa di cui tutti attivamente dovremmo fare parte; uno che alla base dell’agire poneva i suoi valori (che la famiglia gli aveva insegnato e con la compagna condivideva) ed i suoi ideali, quei valori che lo avevano spinto a rinunciare ad un’opportunità all’estero per non allontanarsi troppo dalle persone amate, ponendo alla base della propria vita gli affetti e non un’ambizione cinica e disumana.
Se n’è andato uno “normale”, uno di quei tanti bravi colleghi del SIAS che mattino, pomeriggio e notte si recano in una sede “poco appetibile” e fanno il lavoro svolgendolo, in genere, molto bene.
Se n’è andato uno che poneva l’onestà, il decoro ed il senso del dovere alla base del suo agire.
…resterai un esempio per tutti noi, caro Giuseppe, caro amico e chi di noi ti ha conosciuto riverbererà il tuo esempio nell’agire di ogni giorno (se ci si consentirà di continuare a farlo!), per cercare di fare comprendere a tutti la specificità del tuo e del nostro agire, ma anche la nobiltà d’animo che talvolta lo sottende.
Nel prossimo congresso, se gli amici di quella sede con cui ho collaborato aderiranno, presenteremo un contributo (idealmente) anche a tuo nome e quel …bicchiere di vino che avremmo dovuto bere insieme (quando fossi guarito) lo solleveremo più volte in tuo onore.
In quei momenti, certo dell’immortalità di un’anima bella e buona come la tua, idealmente – richiamando le parole del poeta Nazim Hichmet – solleverò il calice e brinderò con te …”alla vita”!
Antonello Boninfante