Anche quest’anno troviamo riunite in questo congresso tutte le figure professionali che, dall’interno e dall’esterno, si trovano a collaborare per trovare nuove soluzioni ai gravi problemi sanitari, socio-assistenziali, amministrativi, legali emergenti nella gestione di una realtà oltremodo complessa qual è appunto il “mondo carcerario”.
Questa è un’analisi iniziata già l’anno addietro, quando è stato messo l’accento sulla necessità di una “metamorfosi” nella medicina penitenziaria e di “un’etica” nelle cure.
Perché è necessaria una metamorfosi?
Sostanzialmente perché dagli anni ’70 sino ad oggi, dalla famosa legge 740, all’interno del carcere non si sono verificati grandi cambiamenti, mentre purtroppo è cambiata molto la tipologia della popolazione detenuta con le sue conseguenti esigenze.
Pensiamo, ad esempio, da chi è oggi rappresentata la popolazione detenuta. Non più in prevalenza italiani, che anzi sono diventati una minoranza, ma soprattutto da stranieri con lingue, culture e tradizioni molto differenti tra loro e dalla nostra.L’approccio che un tempo il medico penitenziario poteva avere con un detenuto è oggigiorno completamente inadeguato di fronte ad un islamico, ad un senegalese, ad un rumeno, ecc. che hanno concezioni sul rapporto medico-paziente completamente diverse dalle nostre.
L’avvento in massa di questi stranieri ha inoltre determinato la ricomparsa di patologie scomparse nel nostro paese e l’insorgenza di nuove tanto da rendere anacronistici gli accertamenti clinici-diagnostici-strumentali presenti nei vari istituti ed inadeguate le modalità terapeutiche delle stesse.
Ci si è venuti a trovare di fronte ad un vero e proprio stato d’emergenza che non può più assolutamente essere ignorato e fatto passare sotto silenzio.
Perchè è proprio la medicina penitenziaria quella che ha più bisogno di un’urgente trasformazione?
Perché è l’operatore sanitario la prima persona con la quale entra in “contatto” il detenuto al suo ingresso in carcere ed è a lui che deve affidare la propria salute per tutta la durata del periodo di detenzione.
E’ di lui che il detenuto si deve “fidare” e sarà solo lui la persona con la quale potrà instaurare un rapporto veramente empatico.
Dato che non dobbiamo mai dimenticare che se il detenuto non può scegliere il proprio medico anche il medico penitenziario non può scegliere i propri pazienti, penso che l’urgenza consista nell’intervenire ad un duplice livello:
a) garantire al paziente-detenuto non solo un’adeguata assistenza socio-sanitaria, ma, in primis, un rispetto per l’UOMO che ha una propria cultura e tradizione
b) mettere il medico penitenziario nella condizione di poter espletare al meglio la propria “arte medica” non solo fornendogli un adeguato supporto diagnostico-strumentale, ma anche e soprattutto “formandolo ed informandolo” periodicamente in tutti quei campi specialistici nei quali si trova ad operare (cardiologia, infettivologia, dermatologia, aspetti medico-legali, ecc)
Non si può più pensare che “il medico penitenziario” debba solo preoccuparsi di “mantenere in salute” dei “corpi” per “espiare” fino in fondo la loro pena.
Egli deve essere messo in grado di poter fornire al paziente-detenuto la stessa assistenza sanitaria di cui quest’ultimo godrebbe se fosse un paziente-libero e deve poter operare con la strumentazione e la formazione con la quale opererebbe se fosse un medico “fuori le sbarre”.
Per realizzare questa “continuità” assistenziale è necessario creare realmente una continuità tra carcere e territorio, perché, non dimentichiamocelo, “il carcere fa parte del territorio”.
Lo stesso indulto dell’agosto scorso ha creato ancora di più l’urgenza di creare una funzionante sinergia tra le strutture sanitarie penitenziarie e quelle operanti sul territorio.
Quali possono essere le soluzioni concrete?
Non ho certamente la pretesa di fornire soluzioni esaustive a problematiche che sono rimaste senza soluzione per più di trent’anni, ma posso illustrarvi, in qualità di Coordinatore Regionale della Sanità Penitenziaria Lombarda, i progetti realizzati dall’U.O.S.P. della Lombardia in questi anni per creare la necessaria collaborazione sanitaria tra carcere e territorio:
a) trasformazione dei due centri clinici lombardi attraverso l’istituzione di due nuovi poli:
1) quello infettivologico e chirurgico c/o C.R. Mi Opera
2) quello cardiologico e psichiatrico c/o C.C. S. Vittore
si è provveduto a monitorare l’effettiva esigenza degli interventi delle varie branche specialistiche là dove ne era stata riscontrata la necessità, cosa che poi ha portato all’acquisto della diagnostica strumentale ed a un potenziamento delle risorse umane soprattutto c/o i centri clinici. Questo ci ha permesso di effettuare gli esami specialistici all’interno degli istituti, con netta riduzione degli invii in luoghi esterni di cura e quindi anche a salvaguardare sia la salute della popolazione detenuta che a potenziare la sicurezza.
b) abbiamo iniziato e stiamo continuando a effettuare sia informazione che formazione sanitaria attraverso incontri scientifici con accreditamento E.C.M. mediante operatori sanitari del mondo universitario, operatori delle aziende ospedaliere ed operatori A.S.L.
c) si è elaborato un prontuario farmaceutico penitenziario regionale tendente ad omogeneizzare le terapie negli istituti di pena con aggiornamenti a cadenza annuale con nuove molecole a seconda delle nuove esigenze e delle patologie emergenti, sempre più frequenti, dovute alla crescente presenza di detenuti extracomunitari.
d) progetto di telecardiologia nato dalla consapevolezza che con l’avvento di un numero in crescendo di extracomunitari ed un attento monitoraggio sulla popolazione detenuta è emerso un aumento delle patologie cardiovascolari con la conseguente urgenza della gestione dell’emergenza cardiologia. Ciò ha portato ad investire di maggiore responsabilità il medico penitenziario che deve intervenire tempestivamente in caso di patologie cardiache che, in fase acuta, rappresentano le poche “vere” emergenze. Per sostenere i medici penitenziari in queste difficili situazioni è stato dato l’avvio nei due centri clinici lombardi di un servizio di telecardiologia, ossia un sistema di refertazione a distanza che consente di garantire alla popolazione detenuta 24 ore al giorno di assistenza medico-scientifica in ambito cardiologico.
e) vi è stata una netta ottimizzazione dei ricoveri e dei Day-Hospital c/o la 5° divisione di medicina penitenziaria dell’H. S.Paolo, grazie a un sinergismo ed una collaborazione sempre più stretta con il responsabile di quella struttura.
Questo è il lavoro svolto fino ad oggi dall’U.O.S.P. della Lombardia per quanto riguarda gli istituti penitenziari, cosa che ha implicato sia la razionalizzazione della spesa sanitaria, con conseguente riorganizzazione degli stessi.
Ma per ritornare alla domanda di quale continuità assistenziale esista per il detenuto fuori dal carcere e sul territorio, si può dire che:
partendo dall’attività sanitaria all’esterno degli istituti sono state coinvolte tutte le istituzioni del territorio.
Ad esempio:
La Regione Lombardia ha autorizzato la fornitura gratuita dei farmaci in fascia “A” e fascia “H”,quindi tutti i farmaci ad alto costo come quelli antiretrovirali, interferonici e tumorali. Attraverso il ricettario regionale ha autorizzato anche tutti gli esami di laboratorio compresi quelli ad alto costo, per patologie infettive come HIV, EPATITI. Inoltre sempre attraverso l’uso del ricettario regionale ci ha garantito l’attività specialistica c/o le strutture ospedaliere.
Per quanto riguarda le A.S.L. sono stati fatti vari progetti in passato e, attualmente, si è intrapreso un nuovo progetto riguardante la “prevenzione cardiovascolare in carcere” che non a caso trattasi anche del “P.E.A. 2006” del D.A.P. riguardante in particolare i due centri clinici lombardi, anche se allo stato attuale altri istituti ci hanno chiesto riguardo a questi tipi di prevenzione di poter organizzare, formare ed informare sia la popolazione che quella sanitaria.
Con la scuola di cardiologia si è provveduto l’anno scorso a formare i dirigenti ed i coordinatori sanitari come istruttori di B.L.S.D. implicante il corretto utilizzo dei defibrillatori semiautomatici, anche questo un P.E.A. del 2005 del D.A.P.
Con le strutture ospedaliere lombarde nonché con alcuni istituti di ricerca sono stati avviati progetti di formazione sia per i sanitari che per i parasanitari, per il monitoraggio e controllo di alcune patologie vedi legionella C.R. Mi-Opera. Alla luce di queste premesse si può affermare che:
CARCERE- U.O.S.P.-AZIENDE OSPEDALIERE- A.S.L. = territorio
Partendo proprio da quest’ultimo collegamento dobbiamo porci effettivamente la domanda da cui siamo partiti: quale continuità assistenziale?
Dall’esperienza acquisita in questi cinque anni come Coordinatore Sanitario Regionale c/o l’U.O.S.P.( unità operativa di sanità penitenziaria) si può affermare, senza ombra di dubbio, che senza questo tipo di organizzazione , riorganizzazione territoriale, tutto è destinato a fallire negli istituti penitenziari, nonostante i numerosi sforzi effettuati da queste componenti, in quanto ormai sarebbe impensabile poter offrire della buona sanità alla popolazione detenuta senza il supporto e l’ausilio delle strutture ospedaliere che, con la loro esperienza maturata sul campo e mediante i mezzi diagnostici-clinici-terapeutici, possono dare quel servizio specialistico con linea guida e protocolli terapeutici. Attraverso l’A. S. L. si può operare un servizio di prevenzione attraverso il servizio di igiene e di medicina preventiva offrendo la formazione ed informazione offerta dalle linee guida del ministero della salute.
Ma, allo stesso tempo, sarebbe impensabile perdere tutto il sapere medico ed umano acquisito sul campo come operatori penitenziari. Attraverso uno scambio culturale, umano, professionale avvenuto fra i diversi operatori sanitari sul territorio asl, aziende ospedaliere, università, istituti di ricerca si è raggiunto un sinergismo che oggi ha toccato punti notevolissimi, con la conseguente risoluzione di problematiche sempre più profonde.
Ciò ha portato alla chiara consapevolezza che soltanto attraverso un interscambio ed un lavorare in squadra carcere e territorio si può raggiungere una vera integrazione. Non dimentichiamoci mai che i problemi del carcere ricadono e ricadranno sempre sul territorio e viceversa allora proseguiamo insieme il cammino di crescita e di sviluppo perché tutto quello che noi demandino agli altri senza informare e formare ci verrà riconsegnato inevitabilmente ed inoltre noi, in qualità di medici penitenziari possiamo colmare alcuni vuoti lasciati dalla società attraverso una prevenzione sia primaria ( vedi metamorfosi della popolazione detenuta con tutte le problematiche sanitarie dovute a carenze di sanità pubbliche da dove essi provengono) e secondaria (dopo che la patologie si è instaurata).
C’è ancora però una realtà da affrontare che è quella della continuità assistenziale dopo “l’uscita” del detenuto, che riacquista la libertà, o quella del passaggio dello stesso dal carcere alla comunità terapeutica. Bisogna ammettere che ci sono state tante tappe e numerosi gli ostacoli, basti pensare all’esperienza della C.C. Mi- S. Vittore con “ la nave” presso il 3° raggio dove operatori A.S.L. preparano i detenuti per l’inserimento nelle comunità terapeutiche esterne.
Da non dimenticare è il grande lavoro svolto giornalmente dalle associazioni di volontariato.
La stessa Regione Lombardia, vista l’importanza di queste figure, ha inviato in alcuni istituti milanesi risorse umane per affrontare il grave problema della carenza perenne degli educatori.
Da non dimenticare è il protocollo d’intesa tra Ministero della Giustizia- ministero della pubblica istruzione- Regione- Provincia- Comune-riguardante il progetto per le madri detenute con bambini attraverso l’istituzione di case alloggio esterne al luogo detentivo.
Per terminare non bisogna pensare che con l’indulto ci sia stato uno scarico di responsabilità da parte delle istituzioni nei confronti della popolazione detenuta, ma, con immediatezza, si è provveduto a garantire la continuità assistenziale sanitaria con l’invio nelle strutture ospedaliere per le patologie che necessitavano una continuità terapeutica (vedi detenuti ricoverati c/o i c due centri clinici ) per patologie psichiatriche, cardiologiche. Per i tossico-dipendenti, previo contatto, è stato previsto l’invio c/o i SERT, per la continuità terapeutica metadonica. Possiamo affermare pertanto che per quanto riguarda l’indulto questa sinergia carcere e territorio ha funzionato al di là delle aspettative.
Terminando questa seppur breve relazione riguardo alla medicina penitenziaria mi sorge spontaneo porre un quesito ai medici penitenziari: che ne sarà di tutta questa nostra lunga esperienza professionale ed umana maturata per anni nell’universo carcerario??
Penso che si potrebbe rispondere con tre semplici considerazioni:
1) La Medicina Penitenziaria costituisce un’esperienza assistenziale unica e particolare per la sua “molteplicità” di esperienze vissute.
2) Ogni progetto che prevede un’ esclusione degli stessi con parcellizzazione degli interventi e delle responsabilità sanitarie, in assenza di un coordinamento e di un livello di responsabilità degli stessi, è destinato a fallire.
3)Che la Medicina Penitenziaria ha una grossa responsabilità: risolvere i problemi, non crearli.
E’ diventata se vogliamo una Medicina di opportunità ed iniziative, che presuppone però una CULTURA PREVENTIVA, prevede un’idea della prassi medica volta alla promozione dello stato di salute e al suo mantenimento. Così possiamo attuare quei programmi di sorveglianza dei propri pazienti-detenuti, rivolti alla individuazione di eventuali fattori di rischio, con riferimento a tutte quelle patologie che portano i detenuti a gravi compromissioni del loro stato di salute.
RESPONSABILE SANITARIO U.O.S.P. ANGELO DONATO COSPITO
02/11/2006