LETTERA AGLI OPERATORI SANITARI presso gli ISTITUTI PENITENZIARI LORO SEDI
Anche in questo particolare momento della vita politica nazionale questa sigla continua a seguire con estrema attenzione l’evoluzione di quella volontà riformatrice della sanità penitenziaria, che non è solo l’espressione di un governo o di una parte politica, ma sempre più emerge come volontà della società civile italiana.
Abbiamo letto con attenzione numerose note sindacali di recenti periodi e, per ultime, quelle a firma della D.ssa Saraceni/UGL la cui competenza e sensibilità per le problematiche penitenziarie è ben nota. Di tutte condividiamo alcune parti ed osservazioni; abbiamo diversa opinione su altre.
Vogliamo puntualizzare ancora una volta la posizione della SIMSPe, che nell’ambito delle riconosciute competenze scientifiche di settore, non può non offrire anche consolidate competenze organizzative e di management, e soprattutto non intende delegare ad alcuno la difesa dei diritti di tutti quegli operatori sanitari che hanno creduto e credono nella necessità di una riforma, e che a questa chiedono il superamento di un sistema ormai obsoleto che di fatto penalizza gli utenti e mortifica gli operatori !!
Il problema di fondo, quello che ci ha visto e che continua a vederci contrapposti con rigida fermezza ad altri, è proprio questo.
Cioè la piena coscienza e la conseguente affermazione che il modello di assistenza sanitaria attuale nelle carceri italiane è ormai fuori tempo e fuori della storia della sanità, e, di conseguenza, che le norme ed i contratti che lo regolano sono obsoleti e non più rispondenti né alle necessità degli utenti nè all’impegno che gli operatori esprimono quotidianamente.
Ed è ancora più paradossale come, da parte di alcuni, vi sia stata costante delegittimazione e spesso il boicottaggio delle uniche funzioni sanitarie realmente innovative che l’Amministrazione Penitenziaria centrale aveva avviato : lo staff tecnico sanitario in Dipartimento e l’attività dei medici nelle Unità Operative di Sanità Penitenziaria dei Provveditorati Regionali. Proprio queste e spesso i Colleghi, le cui funzioni di coordinamento e collaborazione gestionale sono state giudicate in maniera assai positiva in particolare dalla Corte dei Conti, si sono trovati al centro di ignobili aggressioni verbali e documentali, piuttosto che collaborati nell’avviare e proseguire processi interni di riforma e miglioramento dei servizi !
E’ ormai chiaro che non vi sono altre strade che la riforma “Bindi” ed i percorsi avviati con la recente Legge Finanziaria 2008.
Ci sono assolutamente evidenti i problemi legati al passaggio dei nostri servizi alla sanità pubblica ed ai servizi sanitari regionali. Sappiamo che non sarà un processo brevissimo e che richiederà impegno e sforzi non indifferenti. Ma indietro non si può tornare, se la finalità è di offrire al mondo penitenziario un servizio sanitario adeguato ed aggiornato, che sia vera medicina di comunità, all’interno di un sistema con le sue norme, le sue regole, le sue necessità ed i suoi ormai gravissimi problemi sanitari.
Ci sembra acritico rifugiarsi ancora nel passato !
Nella figura di quel medico penitenziario che dovrebbe privilegiare un impegno “missionario” ormai fuori della storia, rispetto alle competenze cliniche, di coordinamento e di gestione, di organizzazione di servizi all’interno del carcere, di costruzione di rete con il territorio e gli ospedali, che “fare” sanità in carcere oggi richiede.
Sappiamo che è il momento della definizione del D.P.C.M.
Dobbiamo purtroppo lamentare che, così come non siamo stati coinvolti nella redazione del progetto-obiettivo, ad oggi alcuno abbia chiesto il supporto della nostra Società Scientifica, unica in questo particolare settore sanitario, per un contributo alla redazione degli ulteriori atti istruttori che saranno poi tradotti nel segnalato D.P.C.M.
Il contributo degli operatori non è marginale, soprattutto se è riferito a quel gruppo di operatori sanitari che maggiormente ha collaborato con il Dipartimento in tutti i progetti innovativi e nelle migliori e più aggiornate gestioni sanitarie.
Mai come adesso chiediamo di essere coinvolti.
Non è difficile “riscrivere” il sistema.
Quale difficoltà ad immaginare modelli uniformi sul territorio nazionale ?
Dobbiamo guardare i modelli operativi esistenti e consolidati del SSN. Vi è già piena equivalenza rispetto ai circuiti sanitari dell’Amministrazione, sia nei livelli (I, II, III/CDT) che nella nuova nomenclatura del 2007 (SSPB – SSPC/CRR – CDT – SSPOS). Tutti esprimono, per ogni carcere, una Unità Operativa multiprofessionale, Semplice o Complessa, talora Dipartimentale, in ragione delle dimensioni e dei servizi attivati nei confronti dell’utenza, che coinvolge medici, infermieri, tecnici, psicologi. Ed inoltre riteniamo necessario in ogni Regione almeno un reparto ospedaliero di medicina protetta, sull’esempio positivo di quelli di Milano, Roma, Napoli e Viterbo. Non vogliamo “turismo sanitario”: crediamo indispensabile una attività sanitaria ordinata nella quale il “fuori” non sia la risorsa estrema per le inefficienze interne, ma sia l’integrazione, quando occorra, di un’offerta sanitaria adeguata già interna agli Istituti di Pena.
Quindi nessuno immagini di annullare l’autonomia culturale ed operativa della Medicina Penitenziaria in ambito SSN, sottoponendo funzionalmente l’Unità Operativa carcere ad una Direzione Sanitaria, quand’anche aziendale.
I Dipartimenti di Medicina Penitenziaria, di tipo strutturale per la necessaria autonomia di budget, dovranno essere lo strumento funzionale in ambito regionale dove i servizi di più Istituti Penitenziari si confrontino ed organizzino.
Tale è la specificità della mission sanitaria che non vi sono modelli diversi.
L’assistenza sanitaria in carcere non può sostenere discontinuità !
Le risorse di personale già esistono ed innanzitutto queste per competenza e professionalità dovranno essere le dirigenze portanti del sistema !
Temiamo che i Direttori Generali delle Aziende Sanitarie possano seguire le note logiche di partito o clientelari. Non potremmo mai accettarlo né lo permetteremo ed agiremo in tutte le sedi, perché questo nostro diritto venga riconosciuto.
Quindi il passaggio dei Medici Incaricati alle corrispondenti qualifiche SSN con i relativi contratti è il passaggio naturale, salvo il naufragio della nuova – ma fragile – struttura. E questo potrebbe non essere un naufragio indolore: nessuno dimentichi le complessità e le implicazioni della gestione sanitaria delle carceri.
Il ruolo ad esaurimento ? Anche questa è una naturale e condivisibile necessità per quei Medici Incaricati che non volessero optare per nuovi contratti. Ci siamo battuti per questa opportunità. Ma diciamo chiaramente oggi che non potrà consentire la Direzione di quella Unità Operativa.
Ricordiamo che per i Medici Specialisti ed i Biologi già l’ACN vigente conferma la possibilità del transito e l’assorbimento con contratto SUMAI, che può essere parimenti esteso agli Psicologi, le cui riconosciute competenze verrebbero finalmente ad essere opportunamente integrate nell’area sanitaria.
I Medici SIAS sono il maggior contingente; hanno svolto nei decenni intensa e qualificata attività. Non possiamo non immaginare che da questo contratto non si possa, anche in parte, direttamente transitare ai ruoli della dirigenza medica del SSN. Ed altri Colleghi potranno trovare nei corrispondenti contratti di Medicina dei Servizi e di Continuità Assistenziale un superamento delle attuali mortificanti convenzioni con l’Amministrazione Penitenziaria !
Infermieri e Tecnici Sanitari di ruolo, salva l’opzione a richiesta di un passaggio ad altro ruolo all’interno della stessa Amministrazione Penitenziaria, potranno trovare nei corrispondenti contratti del SSN nuove motivazioni professionali, soprattutto per la riconosciuta esperienza sul campo; nè ci sembra assolutamente complesso mantenere il servizio, attraverso i meccanismi già in uso nel SSN, degli Infermieri attualmente retribuiti mediante convenzioni orarie.
Ma tutti gli operatori sanitari dovranno avere il coraggio di scegliere e la forza di impegnarsi. Bisogna essere chiari su un punto: l’attività sanitaria all’interno del sistema penitenziario non può essere un secondo lavoro nè può essere posposta ad altri impegni professionali.
E’ merito della SIMSPe – i cui contributi scientifici hanno qualificato tutti i Medici Penitenziari – aver sminuito la portata dell’accusa di sempre, quella di essere “doppiolavoristi”, che però ancora alcune parti continuano ad addossarci, fortificate da posizioni sindacali ancora anacronistiche e retrive, arroccate ad un passato che è ormai storia finita.
Medicina in carcere, oggi deve essere un impegno sanitario vissuto con coscienza, per i detenuti, per le strutture, per la Polizia Penitenziaria, per gli tutti gli operatori, per l’utenza non detenuta degli Istituti.
Non ci stancheremo di esprimere con forza che esercitare la professione all’interno del mondo-carcere è un impegno qualificante ed un’esperienza professionale di primissimo livello !!
Qualcuno già oggi afferma, ingenerando confusione, che “non siamo più nel DAP !”
Ancora non è così, ancora dobbiamo lottare per rivendicare in questa casa i nostri diritti. Durante questa fase intermedia, la Giustizia non può dimenticare che la tutela della salute dei detenuti e del sistema è ancora la sua e che gli operatori sono ancora alle sue dirette dipendenze. Ed allora:
si convochino i Provveditori e le UOSP per definire insieme un percorso virtuoso durante questo periodo, assicurando inoltre finanziamenti non inferiori a quelli dello scorso anno;
si ricostituisca lo staff tecnico-sanitario del DAP con le medesime caratteristiche del precedente, da porre oggi quale diretto consulente della Direzione Generale dei Detenuti e del Trattamento;
si dia maggiore autonomia alla UOSP in sede regionale, per i migliori accordi con le Regioni;
si ponga con urgenza come priorità la definizione delle piante organiche degli IIPP e la stabilizzazione dei Medici Incaricati Provvisori e dei Colleghi che esercitano tali funzioni;
si definiscano contrattualmente sotto il profilo normativo ed economico le accresciute attività per la Polizia Penitenziaria;
si definiscano contrattualmente sotto il profilo normativo ed economico gli incentivi per quei Medici Incaricati che nell’ambito delle UOSP, dei CDT, degli stessi IIPP superano nell’impegno orario e nelle funzioni i paletti obsoleti della Legge 740/70.
Il documento finale del PEA 2007 sui Medici Incaricati alla cui elaborazione e redazione alcuni di noi hanno partecipato, afferma con dirompente evidenza il significato che gli stessi medici attribuiscono al loro ruolo e le necessità che esprimono nella azione quotidiana ! E’ la prima ricerca che evidenzia con chiarezza come la necessità del cambiamento è ormai vista dalla stessa base dei medici degli Istituti Penitenziari italiani!
Chiediamo che i suoi contenuti siano resi pubblici per la indubbia valenza sulle necessarie contrattazioni collettive !
Abbiamo operato con costanza ed in silenzio per quasi un decennio; in politica spesso è necessario tacere per arrivare all’obiettivo. Ne siamo consapevoli ma al termine del percorso dovunque ci condurrà, dovranno essere chiare agli occhi dei detenuti, dei medici, degli infermieri, di tutti gli operatori penitenziari, di chi i meriti e di chi le responsabilità.
Roma, 2008-02-09
Il presidente
Dr Andrea Franceschini