Ringraziando la SIMPSe per l’invito, rivolgo agli organizzatori del convegno, alle Autorità convenute e ai partecipanti il saluto mio personale nonché quello dei direttori aggiunti, dei funzionari e di tutti gli operatori che prestano servizio nella Casa circondariale di Viterbo.
Formulo l’augurio che le due giornate formative possano conseguire proficui risultati nell’analisi e nella divulgazione degli importanti temi che riguardano l’assistenza sanitaria dei detenuti nel particolare contesto dei reparti di medicina protetta.
In merito all’oggetto delle giornate formative, rimarcando quanto accennato negli interventi delle Autorità che mi hanno preceduto, ritengo opportuno sottolineare che la “Unità operativa di malattie infettive in ambito penitenziario” di Belcolle rappresenta un fiore all’occhiello non solo per l’Istituto penitenziario da cui dipende il presidio fisso di polizia penitenziaria, ma anche per l’Ospedale civile di cui il reparto costituisce un’articolazione specialistica e per la stessa Comunità locale, che, nel confronto con province di maggiore estensione e popolazione, può vantare un servizio di notevole importanza per la migliore garanzia del diritto alla salute delle persone detenute, nel solco della civiltà della pena.
Il Dr. Giulio Starnini ha già analiticamente illustrare i numeri e gli obiettivi diagnostico‐terapeutici conseguiti dall’Unità operativa che egregiamente dirige per le competenze di carattere sanitario.
Approfitto della circostanza per evidenziare, con viva soddisfazione, gli importanti risultati che, nella quotidiana sinergia con la A.S.L. di Viterbo, sono stati fin qui conseguiti dopo un cammino non certo agevole, specie nei momenti iniziali dell’esperienza dell’Unità operativa di medicina Protetta.
Chi, come me, fra il 2005 ed il 2006, ha vissuto e gestito le fasi propedeutiche e immediatamente successive all’attivazione del reparto, sa bene quanti problemi si siano dovuti affrontare e risolvere sotto differenti profili.
Basti pensare, sul piano logistico ed impiantistico, agli interventi aggiuntivi eseguiti per incrementare la sicurezza del personale o per migliorare la sicurezza anti‐evasiva ed anti‐intrusiva di una struttura che, non dimentichiamolo, può ospitare detenuti ristretti nel circuito dell’Alta Sicurezza o sottoposti al regime speciale di cui all’art. 41‐bis dell’Ordinamento penitenziario; interventi realizzati attraverso la consulenza tecnica ed i finanziamenti integrativi del P.R.A.P. per il Lazio d’intesa con le Direzioni Generali del D.A.P.
Non vanno poi trascurate le problematiche legate alla dotazione organica del personale di Polizia Penitenziaria, che indussero le OO.SS. a far sentire la propria voce nel giorno dell’inaugurazione ufficiale del reparto. Partendo dall’A.Q.N. del 2004, che sancisce l’obbligo di turni operativi ordinari su quattro quadranti giornalieri ed il rispetto del principio di rotazione del personale, l’organizzazione dei servizi di polizia penitenziaria, sulla base di accordi decentrati a livello regionale, prevede la copertura di turni di servizio nell’arco delle 24 ore attraverso un contingente formato da 31 unità del Ruolo Agenti/Assistenti.
Fino ad oggi, a causa della generale carenza di organico che affligge il locale Reparto di Polizia Penitenziaria (stimabile intorno al 25/30%), è stato possibile assicurare un contingente ridotto a 25/26 unità, fatta salva una certa integrazione di personale nei casi di ricovero di detenuti 41‐bis.
Allo stato, a fronte di 13 unità distaccate da altre sedi, il quadro permanente della Polizia Penitenziaria di Viterbo fornisce altrettante unità. E’ sufficiente questo dato per dimostrare lo sforzo sostenuto dalla casa circondariale ai fini del funzionamento di una struttura che, giova ricordarlo, ospita detenuti provenienti da tutti gli Istituti penitenziari del Lazio e, sporadicamente, da fuori regione.
A riguardo, colgo l’occasione per rivolgere un pubblico ringraziamento al Responsabile dell’Area della Sicurezza, al Coordinatore dell’Unità operativa, Isp. Capo Carloni, succeduto all’Isp. Capo Micci, e a tutti gli Agenti/Assistenti che, pur lavorando in una condizione di sotto‐organico, garantiscono efficacemente la tutela dell’ordine e della sicurezza nel e del reparto.
Sento il dovere di ringraziare anche un mio stretto collaboratore, il Direttore aggiunto, Dr. Ruello, per il prezioso contributo fornito, soprattutto nei primi mesi di funzionamento della struttura, nella predisposizione dei provvedimenti tesi ad organizzare la vita dei degenti e a disciplinare i servizi di polizia penitenziaria.
Non voglio dimenticare, infine, l’importante azione di sostegno morale e materiale dei ricoverati da parte di alcuni volontari che si avvicendano nell’Unità operativa di Belcolle.
E’ innegabile che ‐al di là dei problemi strutturali, di organico del personale, di organizzazione di un luogo di detenzione sui generis‐ le prime fasi dell’esperienza dell’Unità operativa di medicina protetta abbiano evidenziato una difficoltà di integrazione fra il personale penitenziario e quello sanitario, non fosse altro per il riferimento a culture, schemi concettuali e prassi operative appartenenti a mondi professionali diversi.
Non sono mancate, pur episodicamente, situazioni di conflittualità, affrontate e risolte anche grazie alla saggezza ed alla pregressa esperienza del Dr. Starnini quale medico incaricato della casa circondariale.
Il cammino non è stato semplice, ma l’intelligenza dei singoli attori istituzionali e, soprattutto, il confronto delle due realtà nell’ambito del corso di formazione professionale denominato C.I.C.O. (organizzato dal P.R.A.P. per il Lazio d’intesa con l’Ufficio regionale del Garante dei diritti dei detenuti), hanno consentito alle stesse di conoscersi meglio e di interagire in modo sempre più razionale ed efficace, fino a raggiungere un equilibrio, che può costituire un’esperienza pilota, un valido punto di riferimento nell’attuale delicata fase di transito della medicina penitenziaria al servizio sanitario nazionale.
Concludo, proprio a riguardo di questa difficile svolta epocale, che Viterbo, reggendo il confronto con realtà ben più grandi, ha già intrapreso un percorso virtuoso, ove si considerino, per esempio, i risultati raggiunti in breve tempo nel campo della fornitura dei farmaci, della riattivazione del servizio radiologico intramurario, della presa in carico –da parte dell’A.S.L.‐ del ritiro dei prelievi per gli esami di laboratorio, a tacere di altro; risultati che sottolineano l’impegno concreto del Direttore Generale, Dr. Aloisio, ben coadiuvato dal Dr. Compagnoni e dal Dr. Leoncini, nei riguardi della tutela del diritto alla salute delle persone ristrette in carcere; senza trascurare la preziosa opera di raccordo fin qui svolta dal Coordinatore dell’Area sanitaria della casa circondariale, Dr. Lepri, mettendo a frutto la sua lunghissima esperienza nel campo medico penitenziario.
Per l’importanza della posta in gioco, spero che le giornate formative possano fornire utili spunti di analisi e di riflessione su profili molto delicati (basti pensare al futuro dei rapporti professionali di coloro che hanno fin qui garantito, in regime convenzionale, l’assistenza medica ed infermieristica dei ristretti), non potendosi e non dovendosi mai sottovalutare lo stretto legame che unisce la tutela della salute e
dell’igiene degli ambienti penitenziari alla sicurezza, quale imprescindibile condizione per la realizzazione delle finalità del trattamento dei detenuti e degli internati.
Ringrazio per l’attenzione concessami, e formulo ai partecipanti un fervido augurio di buon lavoro.
Dr. Pierpaolo D’Andria
19/09/2008