CAGLIARI. Tossicodipendenti, pazienti psichiatrici, malati di Aids e di varie forme di epatite rapprentano la maggior parte della popolazione carceraria sarda: è urgente la riorganizzazione dell’assistenza sanitaria penitenziaria.
Ma il problema è che, pur essendo stata trasferita già dal settembre scorso la competenza alla Regione, ancora non è stata organizzata nei fatta la rete dell’assistenza ai detenuti. Un problema che si aggrava di giorno in giorno perché si va avanti con ciò che si è sempre fatto ma senza la certezza del riferimento finanziario e di responsabilità. In altre parole: i medici e gli infermieri che assistono i detenuti sia dentro che fuori del carcere in questo momento non hanno un punto di riferimento chiaro nella rete sanitaria sarda, prima esercitavano le loro funzioni grazie a una convenzione tra il ministero di Giustizia e il servizio sanitario nazionale, adesso formalmente dovrebbero dipendere del tutto dalla Regione ma questa ancora non ha stabilito la modalità dell’accesso alle cure da parte dei pazienti detenuti. Per esempio bisogna stabilire se chi ha sempre prestato servizio in carcere continuerà a farlo nello stesso modo e quindi gli viene riconosciuto il ruolo oppure se ci sarà una rotazione del personale di tutti i reparti e i servizi. La sanità penitenziaria non può marciare sui binari standard: un detenuto che sta male non passa dal pronto soccorso, non è la guardia medica che garantisce l’intervento fuori dall’orario di lavoro del medico del carcere. L’ex consigliere regionale Maria Grazia Caligaris presidente dell’associazione Socialismo, Diritti, Riforme, ha chiesto che del servizio di sanità penitenziaria di competenza delle Asl sia riconosciuta una specificità e quindi sia istituita una direzione generale di riferimento anche per l’emanazione di indispensabili linee guida. Buoncammino, poi, ha un centro clinico che deve trovare un inserimento fra le attività gestite dalle Asl.